CNA Esercito, il mastodontico sistema dalle gambe d’argilla

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. I proverbi degli anziani contengono sempre la loro buona dose di saggezza, anche a distanza di anni. A maggior ragione, oggi, sintetizzano al meglio la “faccenda” dei mancati rimborsi ai dipendenti del Centro Nazionale Amministrativo dell’Esercito – CNAE, già CUSE – Centro Unico Stipendiale Esercito.

È cambiato il nome ma non la sostanza e, se si voleva eguagliare il CNA Carabinieri (Centro Nazionale Amministrativo Carabinieri), conviene ritentare al prossimo giro. Perché quello funziona, questo no.

Colui il quale si è dimostrato duro d’orecchi è il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito al quale facevamo appello nel precedente articolo (leggi qui) domandandogli lumi circa la risoluzione della vicenda dei nuovi “figli della serva”: i dipendenti della suddetta macchina operativa dello Stato Maggiore Esercito.

Purtroppo, ad oggi, non abbiamo ottenuto risposte, tantomeno chiarimenti, men che meno informazioni circa i tempi di risoluzione.

Per rinfrescare la memoria un po’ a tutti, la beffa delle beffe è stata orchestrata per il mese di agosto: quando gli emolumenti promessi, pari a 500 euro lordi, sono stati elargiti a tutto il personale della Forza Armata, fatta eccezione per coloro i quali lavorano ed operano nel CNA Esercito. E già basterebbe questo per classificare l’intero sistema come approssimativo, lacunoso, e terribilmente ingiusto.

Il CNA è una cattedrale nel deserto. Un luogo decentrato, creato appositamente per essere isolato, lontano dal sistema NoiPA (sistema informatico che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha realizzato per gestire i processi di elaborazione, liquidazione e consultazione degli stipendi del personale della Pubblica Amministrazione).

Le altre Forze Armate comunicano i dati stipendiali direttamente al CUSI – Centro Unico Stipendiale Interforze; mentre l’Esercito si avvale di un intermediario, appunto il CNA. Nato con l’obiettivo di snellire la macchina burocratica ma che, ben presto, si è rivelato un “mostro” dalle mille bocche incapace di fare il proprio lavoro, allungando tremendamente i termini per i compensi al personale, creando problemi stipendiali che hanno condotto, in maniera subitanea, ai mancati pagamenti; senza contare le competenze accessorie stipendiali che tardano 10 mesi; i compensi per le attività operative che vengono pagate dopo un anno; i cedolini paga errati e degli arretrati riferiti alle promozioni che non vengono elargiti da tempi immemori.

In tutto questo marasma parrebbe anche che i vincitori del Concorso Sergenti, anno 2018, all’incirca 300, percepiscano ancora lo stipendio del grado rivestito prima del concorso, senza il giusto e dovuto adeguamento salariale. I medici, retribuiti come se svolgessero una mansione inferiore, in barba al concorso superato. Il personale Vfp1 (Volontario in ferma annuale) il quale, congedato per fine ferma, continua ad incassare lo stipendio e l’Amministrazione della Difesa (chi firma gli assegni per capirci) deve fare un lavoro del diavolo per ritornare in possesso del denaro erogato per sbaglio.

Non dimentichiamo le posizioni assicurative, ovvero sia i versamenti all’Inps (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) necessari ai fini pensionistici, per i Vfp1 e Vfp4 per i quali diventa drammatico ricostruire la posizione assicurativa se questi sono in congedo da 7/8 anni. Recatisi all’Inps, hanno scoperto con orrore e sdegno che il periodo svolto nell’Esercito non figura da nessuna parte.

Insomma: il personale anziché focalizzare la propria attenzione sul proprio dovere, sulle strategie da mettere in campo per operazioni di sicurezza in Italia o all’Estero, deve riprendere in mano il volume di contabilità, affidarsi ad un commercialista, spulciare la rete al fine di trovare risposte ai continui e perpetui errori presenti nella busta paga. Tutto questo sta portando ad una progressiva e insanabile rottura tra il servizio amministrativo e il personale.

Sarebbe necessario se tutti gli attori in campo si sedessero intorno ad un tavolo e prendessero coscienza che il CNA Esercito, così com’è, non funziona. Come non mancano di denunciare, anche nell’ultima delibera del 10 settembre scorso, i membri del Co.Ce.R., chiedendo al Capo di Stato Maggiore di «porre in essere ogni utile azione per risolvere in via definitiva le criticità amministrative che si ripercuotono sul personale».

Basterebbe ammettere che l’aver voluto accentrare tutti i servizi amministrativi in un unico contenitore è stata una mossa avventata. Per non dire scellerata. Non c’è nulla di male nell’assumersi la responsabilità di un errore, se di questo si è trattato. Non è sinonimo di debolezza. Anzi, è la presa di coscienza, per il bene del personale, che incaponirsi non serve a nulla. Ora come ora, le risposte devono essere chiare e, soprattutto, devono essere celeri.

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