Sopra la banca il Pd campa, sotto la banca il risparmiatore ci crepa

C’è qualcosa che travalica il codice civile e anche quello penale nel complesso rapporto tra il Pd e le banche. Qualcosa che fa impallidire la cosiddetta finanza creativa di tremontiana memoria. Persino i derivati sembrano roba da educande.

Almeno di fronte all’immaginifico emendamento per salvare il risparmio abusivamente raccolto dalle coop di mezza Italia sotto la dizione di “prestito sociale”. Quel giochetto per cui i supermercati diventano la banca di chi li frequenta e quindi ne gestiscono i risparmi.

Anche se la legge bancaria dice che farlo sarebbe un reato. Ma basta chiamare il tutto “prestito sociale”, ossia dei soci della coop, e con una tessera che il cliente compila, neanche si trattasse un cineclub, tutto si mette a posto, e il gioco è fatto. Salvo poi dovere correre ai ripari quando nell’Emilia rossa cominciano a fioccare crac e inchieste penali.

L’immaginifico emendamento di cui si parlava è stato messo nella legge di Bilancio (e già approvato in commissione) dall’ex tesoriere dei Ds e poi del Pd, il senatore Ugo Sposetti. Semplicemente dice che “l’articolo 2647 del codice civile non trova applicazione per le somme versate dai soci delle cooperative a titolo di prestito sociale”.

Peccato che se si toglie così lo status di “capitale di rischio” a questo prestito si incorrerebbe nel reato previsto dall’articolo 130 del testo unico bancario che punisce fino a tre anni di reclusione l’abusiva raccolta del risparmio.

Un pasticcio in cui il Pd si è andato a ficcare con tutte le scarpe insieme alle proprie coop emiliane, toscane e umbre. E la cui soluzione è stata demandata al Wolf del Nazareno, appunto Sposetti, il quale ha un’originale teoria secondo cui “i soldi prestati dalle banche
non vanno restituiti”.

Cosa che, a quanto si legge nell’esilarante articolo di Giorgio Meletti per il “Fatto quotidiano”, a lui è riuscita benissimo attraverso un gioco di fondazioni cui è stato intestato tutto il patrimonio immobiliare “de sinistra” per tenerlo al riparo dagli istituti che si illudevano di potere recuperare crediti per 200 milioni di euro. Cui invece ha dovuto far fronte la fiscalità generale.

Insomma le banche e il Pd hanno un rapporto difficile. E se si vuole una prova del nove basta raccontare la vera e propria odissea che i clienti di Banca Etruria, comprata da Ubibanca per un euro a fronte del non piccolo patrimonio di filiali in Toscana e nel Lazio, stanno passando da lunedì 27 novembre. Data in cui la fusione è diventata operativa.

Anche e soprattutto sulla loro pelle.

Moltissimi non sono riusciti a conservare l’home banking che avevano con Etruria perché semplicemente il processo di trasformazione on line su cui avevano avuto ampie rassicurazioni non ha retto l’impatto dei prevedibili clic.

Inoltre la carta prepagata “E money” che forniva Etruria non trova spazio in Ubibanca e si dovrà cambiare. Come se non bastasse i bancomat che ora riportano la dizione Ubibanca non danno il saldo e i movimenti dei clienti ex Etruria che quindi se non sono riusciti a trasformare l’home banking di cui sopra staranno “al buio” per non si sa bene ancora quanto tempo.

Nelle filiali romane ex Etruria hanno tutti le mani nei capelli: direttori, funzionari e semplici cassieri non solo non sanno come aiutare i clienti (che in taluni casi sono anche un po’ arrabbiati) ma non sanno nemmeno quante e quali di queste filiali esisteranno ancora tra qualche settimana.

C’è anche chi comincia a pensare che questa sia una punizione divina per essere stati clienti Etruria e che questo nome non sia esattamente un amuleto. Tanto per il Pd quanto per l’utente.

Come a dire che “sopra la banca il partito ci campa ma sotto la banca il cliente ci crepa”.

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