Confindustria e triplice sindacale (sempre meno rappresentativi) scavalcano la Costituzione

E’ stato raggiunto uno strano accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil che ufficialmente viene definito “il patto della fabbrica” e che mette i paletti per la definizione di un nuovo modello contrattuale ma che in effetti serve solo a fare la foglia di fico per coprire una crisi di rappresentanza che ha investito da anni sia la più importante associazione datoriale che i sindacati della triplice.

Se l’accordo, infatti, sancisce (ma non c’era il bisogno di farlo) i due livelli contrattuali, nazionale e aziendale, e mette alcuni paletti sui salari minimi contrattuali alla fine di questo accordo, che dovrebbe essere siglato il prossimo 9 marzo, si prevede uno strano meccanismo di autocertificazione del grado di reciproca rappresentatività da far valere sui tavoli negoziali.

Questo stratagemma dell’autocertificazione della rappresentatività è l’ultimo ritrovato per superare il fatto che la crisi di associati non riguarda solo il sindacato che vede sempre più lavoratori rinunciare a versare la quota sindacale ma anche la “fuga” delle imprese da Confindustria che poi approdano in nuove associazioni datoriali che stipulano regolarmente contrati di lavoro con altrettante sigle legate sindacali all’autonomia sindacale.

Forse sia il presidente di Confindustria Boccia che i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil dimenticano che la rappresentanza ovvero la vera consistenza associativa di un sindacato dovrebbe essere regolamentata da quanto prevede l’articolo 39 della nostra Costituzione che recita testualmente: “L’organizzazione sindacale è libera (1).

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Da questo articolo della nostra carta costituzionale si evince che le organizzazioni sindacali per essere “rappresentative” debbono registrarsi presso uffici pubblici al fine di rendere trasparente la consistenza numerica dei loro associati. Per oltre settanta anni questo articolo è stato ignorato dai sindacati “ufficiali” proprio per evitare che altre sigle, anche solo categoriali, potessero dimostrare di avere più iscritti di Cgil,Cisl e Uil.

La rappresentatività è stata misurata per decenni con il metodo dell’autocertificazione che dava la possibilità alle singole sigle di “dare i numeri” gonfiando il numero dei propri associati a piacimento. Qualcosa nel pubblico impiego è stato fatto per correggere questo scandaloso modo di dimostrare la propria rappresentatività ma ancora molto c’è da fare.

Ora arriva questo accordo tra la triplice e Confindustria che, ovviamente, non può che vincolare solo i contraenti e dimostra ancora una volta che sia la più grande associazione datoriale che i tre sindacati non hanno nessuna intenzione di chiedere l’applicazione della Costituzione per quanto riguarda l’articolo 39.

Non contenti di questo Confindustria, Cgil, Cisl e Uil ritengono di “scavalcare” la Costituzione e di “autoriconoscersi” la rispettiva rappresentatività per paura che altre associazioni possano stipulare contratti, cosa che già avviene, validi ai fini economici e normativi per gli associati alle imprese e ai sindacati stipulanti.

Con questo accordo Confindustria da una parte vuole fare un favore a Cgil, Cisl e Uil che vedono sempre un numero maggiore di iscritti lasciare le loro case madri ma soprattutto Confindustria vorrebbe porre un freno alle fuoriuscite di grandi imprese dalla loro associazione.

Iniziò nel 2012 la ex Fiat di Marchionne che lasciò Confindustria e avocò a se le relazioni industriali legate alla contrattazione ma non solo Marchionne lasciò Via dell’Astronomia, ci furono poi altre importanti aziende che uscirono dal circuito confindustriale come Amplifon, Morellato, Nero Giardini, Pilkington Italia, Valbruna, Cartiere Pigna e tante altre aziende minori che non si sono più sentite “protette” dai vertici di Confindustria che per assurdo è composto da manager delle aziende pubbliche.

Confindustria e triplice ritengono che questo accordo aiuti la competitività delle imprese e gli stessi lavoratori. Se così fosse spiegassero il perché delle fughe di imprese e lavoratori dalle loro organizzazioni. Forse sarebbe più coerente e giusto chiedere, invece, l’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e mettiamoci anche l’articolo 46 relativo alla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa ma forse questi due dettati Costituzionali sarebbero d’intralcio al mantenimento di questo “status” basato sull’autoreferenzialità.

Alla fine meglio riconoscersi vicendevolmente e continuare ad impedire che si conosca la reale consistenza delle associazioni di rappresentanza. Non sappiamo quali reazioni ci saranno dal mondo sindacale e politico a questo ulteriore accordo della serie “se la sonano e se la ballano” ma certamente questa non si chiama democrazia sindacale ma piuttosto resistenza a quei cambiamenti che non sono possibili quando si antepongono gli interessi “politici” delle organizzazioni sindacali o delle associazioni datoriali a quelli dei lavoratori e degli imprenditori o meglio agli interessi del Paese.

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