Comparto Sicurezza e Difesa: quando la burocrazia fa più male del Covid

Siamo coscienti di quanto la burocrazia faccia male alla nostra Italia. Eppure, mai come durante il periodo di lockdown e, di conseguenza, in questo di convivenza con il Covid-19, ci siamo resi conto di come la burocrazia affossi ogni più semplice e virtuosa iniziativa, creando disagio in chi, in uniforme, serve il Paese nell’ambito della Sicurezza e della Difesa.

Il Coronavirus e la pletora di norme emanate a lui connesse hanno fatto emergere pian piano i responsabili di questa farraginosa macchina in ambito Difesa: i dirigenti che emanano le cosiddette “circolari” che contengono veri e propri voli pindarici di interpretazione delle norme in questione.

Per agevolare la comprensione forniamo alcuni esempi: 1) il Soldato rimane a casa a disposizione su sua richiesta, si fa prima a dire anarchia assoluta in un sistema semplice dove un superiore dà un ordine e il sottoposto esegue; 2) il Marinaio in “lavoro agile” con un pc da casa connesso per “almeno tre ore ogni 24”, difficilmente riesce a governare una nave in mare; 3) l’Aviere che non ha potuto fruire della licenza, comunemente nota come ferie, può concederla ad un altro come se quest’ultimo avesse la possibilità di andare in vacanza – non per un mese, ma per due e così via.

Il possibile impatto su Carabinieri e Poliziotti non è oggetto, in questa sede né altrove, di nessun tipo di ironia per il rispetto del lavoro che hanno fatto e fanno. Ovviamente, il problema va analizzato e giustificato e quindi bisogna chiedersi: “questa dirigenza” conosce le realtà operative che vanno a impattare con queste decisioni? No! È evidente che sia scollegata dalla vita quotidiana di un Reparto che, volente o nolente, combatte ogni giorno con nuove ed inusuali pressanti richieste.

Abbiamo visto tutti in televisione i militari scaricare i nuovi banchi per gli studenti e preparare le aule per le aperture delle scuole, per giunta senza un fucile in mano. Bene, il commento unanime è stato «bravi sti ragazzi».

A quel coro ovviamente non si è associato il Dirigente in questione che ha firmato l’ennesima ciliegina sulla torta. Quale? Quella tale per cui il militare che entra in quarantena volontaria (anche domiciliare) «sarà considerato in ricovero ospedaliero» a tutti gli effetti. Occorre spendere due parole in merito alla questione e indurre in una riflessione semplicissima. Il militare che rientra da un viaggio all’estero, magari da una vacanza, deve stare in quarantena come tutti i cittadini.

Sacrosanto, nessuna obiezione. Mentre quelli che invece rientrano dal teatro operativo, ovvero dall’Afganistan, dall’Iraq, dal Libano ecc., riscontrano qualche difficoltà di impatto emotivo. Spiego. I tempi di permanenza all’estero si sono allungati a nove mesi, complice il Covid.

Ognuno vive la propria battaglia quotidiana: noi in Italia a fronteggiare la pandemia, loro all’estero a fronteggiare il pericolo terroristico e non solo; con lunghi mesi lontani dalle famiglie, stress elevato e solo voglia di riabbracciare i propri cari. Invece, il “burocrate”, una volta rientrati in Italia, li spedisce in “ricovero ospedaliero spontaneo domiciliare” indicato a proprio piacimento.

Ci auguriamo che si trovino soluzioni più ragionevoli che tengano conto delle esigenze di tutti, magari con l’autorevole intervento del Capo di Stato Maggiore. Auspichiamo che il Dirigente capisca che il Personale militare deve rimanere attivo sul territorio e non in un perenne smart working.

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