Rai: la crisi del TG1, tra le liti Carboni-Bottai e quelle troupe “raccomandate”

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Il tronfio direttore del Tg1 Giuseppe Carboni, designato dal M5S (e, dunque, in questi giorni postelettorali particolarmente irrequieto) è talmente impegnato a litigare – fin quasi a venire alle mani – col suo vice Angelo Polimeno Bottai (cronista dichiaratamente di destra e quindi, secondo certe logiche faziose, da discriminare a prescindere) da non rendersi conto del disastro verso cui sta portando la sua testata.

Certo, Carboni non smette mai di decantare gli ascolti del proprio Tg. Ma in cuor suo sa che le cose stanno diversamente. Perché, sebbene sulla carta gli ascolti sembrino reggere, la realtà è un’altra: l’ormai collaudato trucchetto di piazzare strategicamente prima del telegiornale costosissimi programmi pre-serali, tipo “L’Eredità”, garantisce al Tg1 una buona base di partenza in termini di pubblico. Ma in altri orari, senza “aiutini”, la disaffezione è evidente.

Ma questo è solo uno dei tanti problemi che affliggono il Tg1, dove le accuse di epurazioni camuffate da ottimizzazioni, veti incrociati e regie occulte si sprecano.<br>Da segnalare, ad esempio, l’annosa questione delle società esterne che lavorano il doppio di altre perché hanno “sponsor” interni. Una situazione lampante nell’assegnazione diretta delle troupe nell’area di Roma, dove si stanno verificando parcellizzazioni dovute a stretti legami tra operatori, redazioni e giornalisti.

Senza fare nomi, pur avendoli, c’è una giornalista del Tg1 che ha una figlia con un operatore di ripresa di una società che, negli ultimi anni, ha – incredibilmente – triplicato il lavoro in Rai con le troupe. C’è anche un’impiegata dell’ufficio produzione – dunque con il potere di gestione degli operatori – che intrattiene proficui rapporti di amicizia ad alto tasso di conflitti d’interesse.

E che vogliamo dire della giornalista che si fa venire a prendere a casa dall’operatore, si fa portare a fare la spesa, dal parrucchiere e dall’estetista invece che andare a fare il servizio (spesso, addirittura, è lo stesso operatore a farlo, senza l’indispensabile presenza del giornalista) tutto per garantire alla società impieghi abbondantemente più frequenti?

A pensar male si fa peccato, certo. Ma le due società che impiegano gli operatori come tassisti o li mandano in trasferta fuori Roma, con buona pace del principio di territorialità, sono anche quelle che lavorano di più con la Rai. Un caso? Quel che è certo è che, nonostante questa situazione sia in piazza, nessuno si scandalizza e, soprattutto, nessuno fa nulla.

Così, mentre due società si spartiscono tutta la torta, gli altri operatori – quelli senza sponsor interni, per intenderci – stanno a guardare. E giustamente chiedono che venga garantita un’equa ripartizione del lavoro e, soprattutto, la valorizzazione della loro figura professionale.

Se Carboni volesse cortesemente volgere il suo sguardo da questa parte…

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